Chi siamo

Che cos’è l’A.N.A ?

L’A.N.A. “Associazione Nazionale Alpini”, fondata l’8 luglio 1919,è costituita da coloro che hanno appartenuto o appartengono alle Truppe Alpine, alpini, artiglieri da montagna, genieri, trasmettitori, paracadutisti, militari in organico alle Truppe alpine, in poche parole “ALPINI”.

Cosa si propone di fare?

Tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difendendone le caratteristiche, illustrane le glorie e le gesta; Rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i vincoli di fratellanza nati dall’espletamento del comune dovere verso la Patria e curarne, entro i limiti di competenza, gli interessi e l’assistenza; Favorire i rapporti con i Reparti e con gli Alpini in armi; Promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna e del rispetto dell’ambiente naturale anche ai fini della formazione spirituale ed intellettuale delle nuove generazioni; Concorrere, quale Associazione volontaria, al conseguimento dei fini dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in materia di protezione civile in occasione di catastrofi e calamità naturali.

Un po’ di storia…

L’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.), la più grossa Associazione d’Arma del mondo che raccoglie nelle sue file tutti gli appartenenti alle truppe alpine: alpini, artiglieri da montagna, genieri e trasmettitori alpini, alpini paracadutisti ed appartenenti ai servizi delle Unità alpine, è sorta a Milano nel 1919 ad opera di un gruppo di alpini reduci della guerra “15 – “18. Per quale motivo? Il combattente ha vissuto un lungo “momento della verità: nella precaria esistenza della trincea nessuno può presentarsi diverso da com’è. Perciò le amicizie nate in guerra continuano e sono salde nel tempo. Dunque, al termine del primo grande conflitto mondiale fra i reduci ex combattenti che tornavano alle loro case, ed in particolare fra quelli appartenenti a Corpi speciali, non venne meno lo spirito di solidarietà e cameratismo che li aveva contraddistinti durante il periodo della guerra. Essi, che avevano vissuto terribili esperienze dense di fatiche, rischi, sacrifici, angosce e dolori, chiedevano soltanto di potersi reinserire, dignitosamente, nella vita civile, in un clima di pace e di speranza secondo le aspettative di una società migliore, coltivate nei lunghi anni di fronte. Cosa trovarono invece? Un’Italia economicamente in collasso, sconvolta da una profonda crisi sociale e squassata dagli scioperi e da lotte di piazza. Trovarono derisione, disprezzo ed ostilità presso una consistente parte della popolazione e, soprattutto, l’ostracismo da parte di alcune forze politiche. Trovarono soprattutto un clima di negazione e di odio contro i valori nei quali credevano, ed in nome dei quali essi avevano combattuto: il senso del dovere, l’amor di patria e l’aspirazione a vivere in un paese migliore. Alla scatenata ed incontrollata attività di piazza , che si esibiva in continue e gratuite violenze, i governi in carica, incapaci di controllare la situazione, davano risposte fiacche esitanti e contradditorie all’insegna di un dilagante permissivismo (venne dato l'”onorato Congedo” anche agli oltre 600.000 disertori). Era quindi naturale e prevedibile una ferma presa di posizione di gran parte dei reduci, che intendevano ribellarsi agli insulti ed alle percosse. Fu proprio in questo periodo che un buon numero di reduci, per lo più ufficiali alpini, presero a frequentare abitualmente la birreria Spaten Brau di Milano il cui proprietario era un alpino. Tra i frequentatori del locale c’erano anche diversi soci del C.A.I. che avevano combattuto come alpini: uno di questi, Felice Pizzagalli, parlando con gli amici, propose di costituire tra i soci della Sezione di Milano del C.A.I. un gruppo riservato a quanti avevano combattuto con gli alpini, per mantener vivi in tempo di pace, tra i reduci, quei sentimenti di solidarietà e fratellanza nati e coltivati tra gli orrori della guerra. L’idea piacque, ed un gruppo di amici si riunì, il 12 giugno “19, per un primo scambio d’idee. Nella riunione prevalse invece l’idea sostenuta dal capitano Arturo Andreoletti, valente alpinista accademico e valoroso ufficiale: Medaglia d’Argento al V.M. sul campo, di fondare un’Associazione autonoma formata esclusivamente da alpini, così da riunire in un’unica grande famiglia tutti gli appartenenti alla specialità, anche al di fuori del C.A.I.. Venne indetta un’Assemblea costitutiva, che ebbe luogo l’8 luglio ed in quella circostanza, discusso ed approvato lo Statuto, fu costituita l’Associazione Nazionale Alpini in congedo e votate le cariche sociali. La giovane Associazione ebbe una prima infanzia difficile, i tempi erano difficili per tutti, ma la sua energia prorompente era incontenibile e sotto la guida del presidente Andreoletti, fine 1919, l’A.N.A. si affermò imperiosamente. Alla prima Adunata Nazionale, che ebbe luogo sull’Ortigara il 5-6-7 settembre 1920, 800 soci, provenienti da 12 Sezioni, assistirono alla Messa officiata da Padre Bevilacqua. Nel gennaio di quell’anno era uscito anche il primo numero del giornale L’ALPINO, organo ufficiale, dell’A.N.A., fondato a Udine nel luglio del 1919 dal ten. Italo Balbo presso il deposito dell’8° Alpini, col paterno consenso del Comandante col. Conte Costantino Cavarzerani. Le Adunate Nazionali si susseguirono di anno in anno, con sempre crescente affluenza di alpini e consenso di popolo ed anche le Sezioni continuarono a crescere ed a moltiplicarsi. La struttura dell’Associazione si fece sempre più completa ed articolata ed anche le iniziative sociali si moltiplicarono. Nel 1925 l’A.N.A. organizzò il primo Campionato di sci, i soci erano 8036. Nel 1929 l’Associazione Nazionale Artiglieri da montagna si fuse con l’A.N.A., nello stesso anno la Sede è trasferita a Roma. Nell’Italia fascista erano cambiate molte cose ed anche l’A.N.A. dovette adeguarsi, abolito il vecchio Statuto del 1919 entrò in vigore quello nuovo, secondo le disposizioni del Ministero della Guerra. Il Consiglio Direttivo fu abolito, il Presidente si chiamò Comandante e fu nominato dal Governo, le Sezioni divennero Battaglioni ed i Gruppi Compagnie, l’A.N.A. si chiamò 10° Reggimento Alpini. I soci erano 16.222. L’Associazione continuò a crescere riuscendo a mantenere una certa autonomia, compatibilmente con i tempi. Il 2 giugno 1940, otto giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, gli alpini sfilarono a Torino per la 21^ Adunata Nazionale e molti avevano infilata sul cappello la cartolina precetto del richiamo alle armi, la divisione Julia era già in Albania da un anno. I soci erano 92.000. Seguirono i lunghi anni di guerra, le conseguenze dei quali sono a tutti note. Il 20 ottobre del 1946, a Milano, si tenne la prima Assemblea Nazionale dei Delegati del dopoguerra, si discusse il nuovo Statuto, redatto su richiesta e secondo i principi fissati dal Ministero della Guerra, nel dicembre 1945, sul carattere e finalità delle Associazioni d’Arma e si ritornò all’organizzazione originale. L’A.N.A. era rinata. Nel 1948 Bassano del Grappa ospitò la prima Adunata Nazionale del dopoguerra e s’inaugurò lo storico “Ponte degli Alpini”, ricostruito. I soci erano 35.197 e le Sezioni già 36. La rinascita associativa progrediva costantemente, a Torino il 14 maggio 1961, durante la 34^ Adunata Nazionale che celebrava il primo secolo di Unità, sfilarono 127.000 alpini. Erano anni di crescita e trasformazioni perchè anche il Paese si stava trasformando velocemente. Nel 1975 l’Associazione contava 245.437 soci il 66% dei quali non aveva fatto la guerra, pur non dimenticando quanti si sono sacrificati bisogna pensare ai vivi: “… basta coi monumenti e le chiesette, l’A.N.A. deve impegnarsi in qualcosa di nuovo per dare ai più giovani, che non hanno fatto la guerra, il modo di fare qualche cosa di utile..”. Questo era il “pensiero guida” emerso dall’Assemblea dei Delegati. L’occasione, tragica, per la svolta auspicata si presentò il 6 maggio 1976 alle ore 21: un tremendo sisma scosse il Friuli e la Carnia mettendo in ginocchio l’intera Regione Friuli Venezia Giulia, causando oltre mille morti e polverizzando decine di migliaia di case. Di fronte a tale immane disastro si formò spontaneamente, nella famiglia verde, una “catena della solidarietà alpina” e prese corpo un progetto grandioso e pazzesco: intervenire direttamente nelle operazioni di soccorso e ricostruzione. Tale progetto, definito “delirante” ed “inacettabile iniziativa” da alcuni noti quotidiani, si concretizzò, per la grande determinazione del Presidente Bertagnolli, in 10 cantieri di lavoro sparsi nelle zone sinistrate e ripartite tra le Sezioni del Centro-Nord (quelle del Sud e quelle Estere erano “riserve strategiche”). In questa “Grande Unità”, completamente autosufficiente, perfettamente organizzata e condotta, prestarono la loro opera oltre 15.000 volontari donando al Friuli 108.000 giornate, pari a 972.000 ore lavorative. E non va dimenticato, in questo contesto caratterizzato anche dalla congiura del silenzio stampa organizzata attorno ai cantieri del Friuli, l’atto di fiducia del governo di Washington nei confronti dell’A.N.A.: la gestione di 43 ML di dollari, pari a 52 miliardi di lire di allora, stanziati per la ricostruzione del Friuli. Con l'”Emergenza Friuli” l’Associazione ha imboccato una nuova strada e sperimentato la possibilità di un diverso modo di operare nella società. Un nuovo motto annuncia l’avvenuta trasformazione:”Onorare i Morti aiutando i vivi”. Gli alpini, sempre meglio organizzati, intervengono in migliaia di iniziative e situazioni precarie: dall’Irpinia alla Valtellina, dalla Lucania all’Armenia, alla Basilicata fino all’ultima grande opera: un’asilo infantile costruito in Russia a Rossosch dove, nel 1942, sorgeva il Comando del Corpo d’Armata Alpino, per donarlo in segno di pace ed amicizia ai bambini della città. L’8 giugno del 1992 avviene la posa della prima pietra, alla presenza del sindaco della città, autorità locali ed del Presidente Caprioli; il 19 settembre del 1993 la consegna. Per la cerimonia della consegna sono giunti dall’Italia 1.200 alpini, 332 dei quali con una colonna motorizzata. Finanziato completamente dai soci A.N.A., l’asilo è stato realizzato da 721 volontari in 96.430 ore lavorative. Ora l’A.N.A. conta 334.106 soci e 41.094 aggregati, ripartiti tra 115 Sezioni delle quali 80 in Italia e 35 all’estero, un servizio di Protezione Civile ottimamente organizzato, per uomini e mezzi, sulla base di oltre 47 Sezioni operative a livello nazionale con un organico di 6.117 volontari autosufficienti. Attualmente l’A.N.A., dopo 80 anni di travagliata esistenza, è: una “forza sociale” di prima grandezza, punto di riferimento per la Nazione, realtà invidiata, modello da imitare per molti stranieri e “… concorre, quale Associazione volontaria, al conseguimento dei fini dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in materia di Protezione Civile in occasione di catastrofi e di calamità naturali”. Nelle file dell’Associazione, “rigenerata” dal sisma del 1976, una nuova “aristocrazia civile” sta lentamente sostituendo quella “militare”, i gloriosi rappresentanti della quale sono il 15% della forza. Dal “Fronte del Friuli” del 1976 a quello “umbro” del 1997, gli interventi degli alpini, “soldati buoni per ogni tempo”, sono stati innumerevoli: sempre efficaci, tempestivi ed apprezzati ma, soprattutto, è stato notevole il “passaggio del testimone” ai “nuovi aristocratici emergenti”. Dichiarò un giorno un giovane, reduce da un “fronte civile”: “…Noi per motivi di età, non abbiamo potuto fare nè l’Ortigara e nemmeno la Russia, però a Endine ci siamo stati, abbiamo lavorato assieme agli anziani con lo stesso entusiasmo e gli stessi ideali”. L’idea del capitano Arturo Andreoletti ed amici, è stata veramente una grande idea. Il 23 settembre 1997 è deceduto il capitano Rinaldo Rainaldi, l’ultimo superstite dei fondatori dell’A.N.A. aveva 99 anni.

Lucio Vadori